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UX Research



Agile UX Research per siti web e app

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User-centered design e UX Research

Il paradigma dello user-centered design (UCD) si basa su un presupposto fondamentale: per porre davvero gli interessi dell’utente al centro della progettazione, e non quelli del committente o del team di sviluppo, occorre una conoscenza approfondita delle sue abitudini e delle sue aspettative. Più precisamente, è necessario comprendere il modello mentale dell’utente: solo così sarà possibile progettare un’interfaccia intuitiva e allineata al proprio utilizzatore.

Il modello mentale dell’utente è un complesso mix di variabili fisiche, psicologiche e culturali. La UX Research è l’insieme di metodi e attività che, all’interno del processo progettuale, consentono di investigare queste variabili e restituire una serie di linee guida utili sia per progettare la user experience di nuovi prodotti, che per ottimizzare quella di prodotti esistenti. L’attività di ricerca può avvenire osservando utenti-test alle prese con prototipi del prodotto prima del lancio, per ottenere le indicazioni più corrette da seguire in fase di progettazione, oppure sul prodotto già pubblicato live, osservando le dinamiche di utilizzo degli utenti reali, in una logica di ottimizzazione continua.

Purtroppo nella pratica questa fase di analisi viene spesso condotta in modo superficiale, o non viene condotta affatto. La UX Research comporta dei costi e dei tempi che molte volte non sono compatibili con il budget e le logiche di go-to-market. Spesso i committenti approcciano un progetto di sito web o app con la richiesta di rilasciarlo “entro ieri”, a volte spinti da una certa supponenza di “sapere già tutto dei nostri clienti”. Questo atteggiamento non può che portare alla realizzazione di prodotti “zoppi”, in cui i costi sono solo rinviati, e si manifestano in mancato guadagno e interventi di adeguamento. La chiave è proprio quella di rendere l’attività di UX Research tempestiva e sostenibile, consapevoli del motto di Steve Krug: una qualsiasi forma di analisi dell’utente è meglio di zero.

In questa guida introduttiva passerò in rassegna i metodi principali di UX Research che, in base alla mia esperienza diretta, sono più “agili” da adottare, nella progettazione di siti web e app mobile. Non una guida alla UX Research esaustiva, quindi, ma una sintesi operativa con una serie di strumenti e indicazioni per cercare di incorporare “quel tanto che basta” di attività strutturate di studio dell’utente anche nei progetti di ambito più circoscritto.

Pianificare una sessione di Agile UX Research: alcune note organizzative

Per rendere “agile” un’attività di UX Research è necessario prima di tutto adottare una serie di accorgimenti organizzativi che possono consentire di ridurre tempi e costi necessari per ottenere le indicazioni di design desiderate in relazione ai vincoli di progetto. È necessario però fare attenzione a non inficiare l’attendibilità dell’analisi sull’onda della semplificazione e del pragmatismo: i risultati possono essere ritenuti attendibili solo se vengono rispettati presupposti minimi di imparzialità e rilevanza statistica.

In questo senso, esiste una certa contrapposizione tra un approccio “classico” alla user research e le più recenti metodologie agile. Le nozioni e le tecniche fondamentali della UX Research vennero elaborate tra gli anni ’80 e ’90, in un contesto di progetti software di larga scala e di tipo continuativo. Il background accademico degli autori, come Jakob Nielsen e James Lewis, portò inevitabilmente con sé un rigore metodologico molto elevato e un’attenzione prima di tutto a descrivere le abitudini e le aspettative degli utenti, per evidenziarne le differenze rispetto punto di vista di stakeholders e sviluppatori e individuare linee guida generali di usabilità in un contesto ancora pionieristico. La “democratizzazione” delle competenze e degli strumenti di UX Research che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni, testimoniata anche dai numerosi corsi di formazione oggi disponibili, rischia di banalizzare e de-professionalizzare l’attività; allo stesso tempo, l’affermazione di strumenti online che consentono l’analisi a distanza e in una certa misura anche automatizzata sembra addirittura mettere in discussione il ruolo dell’analista.

Personalmente considero ancora attualissimo il lavoro dei “padri fondatori”, un bagaglio di competenza irrinunciabile. Ritengo però che lo scenario attuale della digital transformation, caratterizzato per lo più da progetti dal ciclo di vita ristretto e da dinamiche di mercato mutevoli, richieda prima di tutto una tempestività e un’adattabilità continua che devono necessariamente fare i conti con il tema della sostenibilità economica. Questo obiettivo è raggiungibile prima di tutto attualizzando il senso della ricerca, che non è tanto la descrizione accurata degli “utenti reali”, ma l’individuazione di dinamiche ripetute lato utente che consentano di ridurre l’incertezza e individuare agevolmente patterns e priorità, e le relative soluzioni di design.

Una celebre citazione di Steve Krug, condivisa anche da Jakob Nielsen, è che “una qualsiasi forma di ricerca sull’utente è sempre meglio di nessuna ricerca.” Ma peggio di nessuna ricerca è la ricerca sbagliata, o fine a se stessa.

Come individuare obiettivi e metodologie

Il primo passo per pianificare in modo efficace una sessione di UX Research è definirne in modo preciso l’obiettivo, ovvero il tipo di conoscenza che vogliamo acquisire. Si tratta di informazioni strettamente legate alla fase del progetto in cui l’attività di ricerca si inserisce, e che determinano il tipo di metodologie e tecniche più opportune. Sessioni confuse e prive di focus restituiscono inevitabilmente risultati dalla scarsa utilizzabilità pratica.

Per esempio, nelle primissime fasi di ideazione del prodotto l’obiettivo è di analizzare e circoscrivere l’ambito di applicazione e i bisogni e le problematiche a esso collegati: un’attività di esplorazione che viene solitamente condotta con interviste individuali più o meno strutturate, e momenti di osservazione partecipante. Quando invece l’attività di progettazione è già entrata nel vivo, possiamo organizzare focus group finalizzati alla generazione di idee e alla progettazione partecipata (co-design), oppure a una vera propria valutazione di prototipi tramite test di usabilità, per validare sul campo le soluzioni di design adottate. Questo tipo di ricerca valutativa può avvenire anche ex-post, sul prodotto già immesso sul mercato, in un’ottica di verifica e ottimizzazione continua.

Come selezionare il campione di utenti

La composizione del gruppo di utenti da osservare è probabilmente l’aspetto più complesso dal punto di vista organizzativo: per ottenere risultati attendibili dobbiamo essere sicuri di aver condotto i test su un campione rappresentativo di utenti, cioè un numero congruo di individui in target.

La natura del campione è strettamente collegata al tipo di prodotto da testare. In un servizio di largo consumo, come ad esempio un’applicazione di home banking, i criteri di selezione non saranno particolarmente restrittivi: sarà però necessario reclutare un numero elevato di persone, adeguatamente rappresentativo dei vari segmenti di utenza (millennials, over 65, ecc.). Viceversa, in un sito web B2B di nicchia, la difficoltà sta nel riuscire a reclutare utenti realmente in target.

Con l’aumentare degli utenti-test reclutati, maggiori saranno gli oneri organizzativi: logistica, comunicazione, ricompensa… Nel determinare il numero corretto di utenti, è bene ricordare l’indicazione di Jakob Nielsen, secondo cui, per ciascun segmento di utenza da analizzare, è sufficiente limitarsi a un campione di cinque individui per individuare già un buon 80% di problemi.

Infine, è opportuno tenere a mente un paio di altre norme di buonsenso:

  • selezionare gli utenti-test tra parenti e amici (“F&F”) è assolutamente legittimo, e consigliato in un’ottica di semplificazione, purché ovviamente si tratti di persone in-target;
  • committenti, colleghi, designer, sviluppatori e altri addetti ai lavori coinvolti nel progetto normalmente non sono da ritenere utenti-tipo validi, perché il loro punto di vista particolare introdurrebbe inevitabilmente delle distorsioni nei risultati.

Come svolgere il ruolo dell’analista-facilitatore

Il ruolo dell’analista-facilitatore (“UX Researcher”) è fondamentale per un efficace svolgimento dell’attività di ricerca sugli utenti. Uno stile di conduzione molto “presente” consente di indirizzare l’attività in modo organizzato, ma potrebbe essere percepito come invadente dagli utenti-test, e in questo modo condizionare i risultati. Al contrario, predisporre un canovaccio minimo e lasciare gli utenti-test liberi di esprimersi può portare alla luce sfaccettature inaspettate, ma l’attività rischia di sfociare in un “brainstorming” improduttivo.

A questo proposito è bene inoltre ricordare che, in linea di principio, il compito dell’analista-facilitatore non può essere svolto da figure già a bordo del progetto in veste di designer o developer. Lo UX Researcher va visto come una figura professionale distinta e svincolata dalle logiche e dai vincoli di sviluppo: una figura terza e obiettiva che interviene in fase iniziale, producendo deliverables in forma di documenti e prototipi per il team di design e sviluppo, e successivamente prosegue il proprio lavoro di analisi per individuare problemi e soluzioni migliorative in un’ottica di ottimizzazione continua.

Lo stile di facilitazione che prediligo è sicuramente quello meno invasivo, con alcuni accorgimenti per assicurare l’efficienza della seduta, come contingentare i tempi e interrompere le discussioni quando non sono più pertinenti all’obiettivo di ricerca.

Come elaborare e condividere i risultati

L’output dell’attività di ricerca è, come detto, un insieme di linee guida per il design e lo sviluppo. Il modo in cui queste linee guida vengono comunicate è un aspetto cruciale per la qualità dell’analisi e del prosieguo del progetto. È necessario infatti produrre la giusta quantità di documentazione: sintetica, comprensibile e pronta all’uso. La probabilità che il team di sviluppo tenga conto della documentazione è inversamente proporzionale alla quantità di pagine prodotte.

Esistono innumerevoli format di UX deliverables. Personalmente prediligo due strumenti per comunicare con portatori d’interesse e team di sviluppo:

  • un documento sintetico di linee guida, secondo un modello che prevede in particolare due sezioni rilevanti in chiave UX: una o più UX Personas per descrivere le caratteristiche del pubblico, e un set di user stories per individuare requisiti e funzionalità del prodotto
  • un prototipo interattivo, più o meno fedele, per esemplificare il tipo di soluzioni da adottare nel design dell’interazione.

Metodologie di UX Research in presenza

I metodi tradizionali di UX Research avvengono in presenza, e sono tramite

Photo by David Travis on Unsplash

Sono i più ricchi, ma anche i più costosi

La task analysis

Osservazione partecipante

Card sorting

Il card sorting è una metodologia di UX Research utile per analizzare le funzionalità e i contenuti del prodotto, e in particolare per individuarne le migliori logiche di raggruppamento e priorità su cui strutturare l’architettura dell’informazione dell’interfaccia utente.

Come organizziamo i contenuti di un sito web in una gerarchia di pagine e menu? Quali sono le funzionalità prioritarie e d’uso più frequente, che l’interfaccia dovrà esibire con maggiore evidenza all’utente, e quali invece andranno messe in secondo piano? Sono questi i tipi di domanda a cui è possibile dare risposta tramite una sessione di card sorting. Come si può facilmente immaginare, il card sorting è maggiormente indicato nelle fasi preliminari del progetto, quando è necessario individuare la soluzione più intuitiva di architettura dell’informazione tra le numerose teoricamente possibili.

Immaginiamo di dover progettare il portale di informazioni turistiche di una località di villeggiatura: un sito web complesso, con molte informazioni da organizzare. L’analista-facilitatore può condurre un test con un gruppo di utenti con il metodo del card sorting in questo modo:

  1. prepara una serie di cartoncini: su ciascuno di essi scrive il nome di un contenuto da pubblicare (es. “ristoranti”, “alberghi”, “monumenti”, “come arrivare”…)
  2. sparge i cartoncini su un tavolo, e chiede agli utenti di raggrupparli nel modo che ritengono più logico e intuitivo – può chiedere di farlo a un utente alla volta, oppure in modalità collaborativa, discutendo a voce alta
  3. registra l’esito del test, e formula la soluzione di navigazione che è emersa come “vincente”

Quella appena descritta è una formula molto generica: il card sorting può infatti essere condotto in modalità diverse a seconda della situazione. Innanzitutto, può avvenire in forma “aperta” o “chiusa”. Nell’open card sort sono gli utenti a definire i raggruppamenti in libertà: modalità particolarmente utile quando è necessario esplorare e dare forma a un universo informativo ancora indefinito. Diversamente, quando l’interfaccia utente del prodotto ha già una struttura consolidata e si tratta solo di integrare e ottimizzare le funzionalità, è più indicata la modalità del closed card sort, in cui insieme ai cartoncini vengono indicati anche i raggruppamenti all’interno dei quali compiere la classificazione.

Anche il modo con cui registrare l’esito del test può variare da una semplice documentazione “sul campo” con foto e appunti a un’analisi statistica vera e propria, nel caso di un numero elevato di test e utenti.

Metodologie di UX Research a distanza (“Remote Research”)

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Remote Research – Approfondimenti

Metodologie di UX Research basate su digital analytics

È possibile ricavare preziose informazioni sul modello mentale dell’utente anche dai dati che vengono raccolti dalle piattaforme di digital analytics comunemente integrate in siti web e app. In questo caso, l’attività di analisi avviene esclusivamente post-lancio, sul prodotto già rilasciato in produzione: si tratta quindi di strumenti e tecniche volte esclusivamente all’ottimizzazione continua del prodotto, e non all’attività di progettazione iniziale e lancio. Sono due i vantaggi di queste tecniche:

  • i costi contenuti in relazione alla quantità di dati che è possibile raccogliere
  • la trasparenza, dal momento che i dati vengono registrati in background, senza interferire con l’attività dell’utente, che così agisce in modo naturale senza “sentirsi osservato”

Prima di passare in rassegna le piattaforme di digital analytics che uso più di frequente per attività di UX Research, è importante però evidenziare un aspetto legato al trattamento dei dati personali. Le piattaforme di digital analytics attuano meccanismi di tracciamento dell’utente di cui quest’ultimo deve essere adeguatamente informato. Per quanto riguarda i siti web, in particolare, a seconda della configurazione possono essere generati semplici cookies “tecnici” anonimi, o, nelle situazioni più avanzate, cookies di profilazione e tracciamento. In questo secondo caso la normativa privacy impone di richiedere un consenso preliminare esplicito all’utente. Pertanto, ai sensi di legge è fondamentale assicurarsi di dare una corretta informativa all’utente in relazione al tipo di raccolta dati messo in atto.

Google Analytics

Google Analytics è la piattaforma di digital analytics più diffusa. È gratuita, ed è nota soprattutto come strumento per analizzare il traffico di un sito web. Molto spesso la sua implementazione si limita alla configurazione di default, e all’osservazione di metriche quantitative di base, come il numero di sessioni o di utenti, il tempo medio di permanenza o la frequenza di rimbalzo: in pratica, cosa succede sul sito, ma non come succede.

In realtà è possibile ottenere indicazioni di natura più qualitativa da Google Analytics configurando funzionalità avanzate di tracciamento, come il monitoraggio di eventi, obiettivi e conversioni, le statistiche di ricerca sul sito e la profilazione demografica.

HotJar

HotJar è uno strumento di digital analytics emergente, nato con l’intento di fornire informazioni qualitative sull’usabilità e l’efficacia dell’interfaccia utente di un sito web. Offre piani diversificati in base alla quantità di visualizzazioni di pagina giornaliere da monitorare, con soluzioni specifiche per individui, team in-house e agenzie, nonché un piano base gratuito con limitazioni.

HotJar registra il comportamento dell’utente sul sito web e lo restituisce in quattro report principali:

  • heatmaps che visualizzano le dinamiche di click, scroll e movimento del mouse sul layout della schermata, per indicare il grado di attenzione e motivazione;
  • registrazioni video di quanto avviene nel browser dell’utente, per identificare le eventuali problematiche di usabilità dell’interfaccia;
  • funnel di conversione, per identificare all’interno di un processo i colli di bottiglia e i punti in cui l’utente abbandona (dropoff);
  • analisi dei form, per comprendere se la compilazione avviene in modo fluido e intuitivo, oppure se alcuni campi risultano problematici.

In aggiunta, HotJar dà la possibilità di incorporare agevolmente nel sito strumenti di raccolta esplicita del feedback dell’utente, come sondaggi e questionari, che lo rendono un ambiente completo di analisi qualitativa della user experience. Per questo motivo, a mio parere HotJar è un complemento di Google Analytics imprescindibile per siti web a medio-elevato traffico in cui l’ottimizzazione del tasso di conversione (CRO) è una priorità, come ad esempio nell’ecommerce.

Conclusioni

Una tecnica non esclude l’altra

Accelerare il lancio per usare le digital analytics

Perché è sempre meglio un po’ di UX Research che zero. Krug espouses DIY testing with the following approach to make it happen fast: (1) recruit participants based on the motto—“Recruit loosely and grade on a curve”; (2) test with only three participants because it takes little time and effort and still results in plenty of findings; (3) conduct a findings meeting immediately following the last test so that the most serious problems can be prioritized by the team; (4) “tweak” the design to make the least possible change to address the problems.